I guai dietro il nuovo libro di Khaled Hosseini
Lo scrittore dice che ha scritto "Preghiera del mare" in un pomeriggio. Ma il lettore che crede di rinvenire nella scrittura di getto la testimonianza di un’autenticità che renda migliore il libro sbaglia
Che un libro sia lungo cinquantasei pagine, passi: non è che la letteratura vada a peso, e chi ha qualcosa di notevole da dire può anche risparmiarci ore e ore di lettura. Che costi quindici euro, vabbe’: per quanto l’esperienza insegni che statisticamente è raro trovare una pagina che valga più di venticinque centesimi, quando accade è un piacere che ripaga di tutto l’investimento. Che ci sia la curatela di Roberto Saviano, pazienza: è una tassa etica che lui si è sapientemente guadagnato costruendosi riga dopo riga il monopolio editoriale sull’impegno a stare dalla parte giusta. Ciò che non accetto è che il nuovo libro di Khaled Hosseini – “Preghiera del mare”, Sem – è che faccia un vanto dell’essere stato scritto in un solo pomeriggio.
L’autore un giorno ha guardato l’immagine traumatica del piccolo Alan morto sulla spiaggia, come tutti noi, e per superare lo choc ha scritto di getto le cinquantasei pagine da venticinque centesimi l’una.
È l’esatto contrario di quanto dovrebbe fare uno scrittore, cioè vagliare, sperimentare, fallire e riprovare, lasciare decantare; ed è una mole di lavoro molto inferiore a quella che ci vuole per pagine che in libreria costano molto meno. Il peggior guaio è però che il lettore si commuove al pensiero dello scrittore scosso al punto da scrivere un libro intero dopo pranzo, incurante della peristalsi, e s’illude di rinvenire nella scrittura di getto la testimonianza di un’autenticità che renda migliore il libro. S’inganna; perché un libro è migliore quanto più è falso. E perché la rincorsa all’autenticità ridurrebbe l’arte a chiazza indistinta, la musica a rumore sordo, la letteratura a urlo prearticolato.