Qualcuno chiami un dottore (di ricerca)!
Nelle nostre università sono troppi o troppo pochi? Forse c'è un dato che sfugge ai più: l'età media in cui si consegue il titolo
Ma insomma, in Italia i dottori di ricerca sono troppi o troppo pochi? Troppo pochi, parrebbe guardando le stime rese note dalle università milanesi sul rapporto fra posti banditi e domande ricevute: circa duecento su mille per la Bicocca, qualcuno in più su milleseicento per il Politecnico, trecento su millesettecento alla Statale. Una miseria. Eppure parrebbero troppi a giudicare dalla richiesta avanzata da un comitato per la valorizzazione del dottorato guidato dalle medesime università: cinque milioni di euro onde incentivare l’assunzione di seicentocinquanta dottori di ricerca che potrebbero lasciare non solo l’accademia ma anche l’Italia. Che, secondo statistiche pubblicate dal Corriere, è la nona nazione al mondo per numero di dottorati, dietro le più civili Germania e Gran Bretagna (oltre che gli Stati Uniti) ma davanti a territori ben più estesi come Australia e Canada. Il guaio sta probabilmente in un dato secondario, passato un po’ in cavalleria: l’età media in cui si diventa dottori di ricerca in Italia è 33 anni; significa che, per ognuno che consegue il titolo alla ragionevole età di 28 anni, ce ne sarà un altro che ci arriva alla bella età di 38, quando – sia che voglia proseguire nell’accademia sia che voglia lanciarsi nel privato – sarà riuscito a trasformare il potenziale d’eccellenza in ferrovecchio: il famoso dottore morto cui è preferibile l’asino vivo.
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Le incoronazioni costano, scandalizzarsi no
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