Se la Shoah e i diritti umani valgono meno di una partita di calcio
Gli ultras neonazisti dello Sparta Praga condannati a seguire conferenze sui crimini contro l’umanità e a visitare musei sulla storia dell'Olocausto. Ma qualcosa non va
Potrà sembrare notizia bella, magari ridanciana, quella degli ultras neonazisti dello Sparta Praga condannati a seguire conferenze sui crimini contro l’umanità e a visitare musei sulla storia della Shoah. È invece una brutta notizia nell’obiettivo che si propone e nel criterio su cui si basa. Tale criterio è l’utilizzo della cultura come clava o meglio ghigliottina o meglio ancora cilicio: nel trasformare la conoscenza in punizione, la sanzione sottintende il presupposto che ascoltare una conferenza o guardare le teche di un museo sia di per sé un supplizio e non il sollievo che – pur nella gravità dei contenuti – dovrebbe costituire per l’animo che si eleva. Peggio, questa ritorsione non può che confermare dei buzzurri neonazisti nella convinzione di star contrapponendosi a un’autorità ottusa che li sottopone per ritorsione a questa fatica intellettuale; quando invece sarebbe stato più utile, forse, lasciar crollare l’assurdità dei loro rimpianti storici e dei loro coretti antisemiti sulla consapevolezza che il rispetto di tutti gli uomini non è un compito in classe ma l’appannaggio dell’umanità. Più di tutto però offende la condizione a cui gli ultrà hanno ottemperato alla penitenza culturale: se non avessero accettato, infatti, ieri non sarebbe stato giocato il derby fra Sparta e Slavia Praga (è finito 2-2). Un bel modo di suggerire che i diritti umani, oltre che pesantume da accademici, sono materia meno rilevante di una partita di calcio.