Se i vertici del M5s non si fidano della capacità di giudizio della base
Il quesito contorto sottoposto ai militanti sul caso Diciotti svela l'inganno della democrazia diretta
La voce della ragione urla che il contorto quesito sulla piattaforma Rousseau, per decidere dell'autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, svela ciò che finora potevamo solo sospettare del Movimento 5 stelle. Non il fatto che sia un partito di doppiopesisti, in cui l'immunità degli uni non collima con l'immunità degli altri. Non che sia un partito di rimestatori, che fa giochi di prestigio con le parole così come con i decimali della finanziaria. Non che sia un partito di smemorati che, dopo avere contestato per anni la forma referendaria in cui per dire sì bisogna votare no, adotta adesso lo stesso identico criterio. Macché; sono tutte considerazioni collaterali che lascio al giudizio arbitrario di chi vorrà esprimersi. Ciò che la ragione urla è questo: se i vertici del Movimento (dall'elevato garante Beppe Grillo al subcomandante Di Battista, fino ai famosi senatori duri e puri) dicono che il quesito è posto in modo tale da confondere le idee ai votanti, allora danno per scontato che la base del Movimento non sia in grado di capire la frase "Sì, quindi si nega l'autorizzazione a procedere; No, quindi si concede l'autorizzazione a procedere". Ne consegue che i vertici del Movimento presuppongano che la base di militanti iscritti alla piattaforma Rousseau non sia in grado di condurre un elementare ragionamento ovvero, di conseguenza, che non sappia quello che fa e prema pulsanti a capocchia. Resta solo da capire come mai, ai vertici del Movimento, sia venuta l'idea di affidare a questa base il compito di scrivere le leggi con la democrazia diretta.