Perché Zuckerberg non ritiene Westminster alla propria altezza
Il concetto di sovranità si è evoluto. Facebook prospera sul presupposto che ogni iscritto abbia un'autorità insindacabile in quanto singolo. Fino a diventare la bestia feroce che è il popolo del web
Leggendo la cronaca di Eugenio Cau sulla querelle fra il Parlamento britannico e Facebook, un dettaglio mi balza all'occhio: Westminster accusa Zuckerberg di non essersi presentato alle interrogazioni ma di essersi fatto rappresentare da sottoposti, spesso impreparati e sempre inadeguati alla rilevanza dell'istituzione che avevano di fronte. Irritante di per sé, quest'atteggiamento di superiorità è ulteriormente significativo in quanto certifica uno slittamento della sovranità. Com'è noto, il Parlamento britannico così come lo conosciamo nasce dalla lunga e sanguinosa contrattazione che nel Seicento costò due rivoluzioni e una decapitazione, allo scopo di veder trasferita la sovranità dalla persona del Re (cioè un individuo) al Parlamento, ossia a un'istituzione che non fosse identificabile né con un singolo né con la cieca brutalità della massa.
Il pressappochismo con cui Zuckerberg ha trattato il cardine della democrazia moderna è spia di un'evoluzione nel concetto di sovranità. Il social network prospera infatti sul presupposto che ogni iscritto abbia un'autorità insindacabile in quanto singolo, e che quest'autorità si accresca a dismisura quando si massifica in quella bestia feroce che è il popolo del web. L'idea che esista un potere intermedio - né individuale né collettivo - che eserciti l'autorità limitando l'arbitrio è invisa ai nostri tempi. Zuckerberg quindi non ritiene Westminster alla propria altezza perché noi, accecati dal solipsismo, vogliamo sottrarre la sovranità ai parlamentari per consegnarla ai nostri profili social, ovvero all’individuo che li gestisce.
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