Jessi Combs (foto via Facebook)

La morte di Jessi Combs non è una tragedia insensata

Antonio Gurrado

La donna che voleva battere il record di velocità ha deciso di sfidare i propri limiti. E di vivere per sempre

Mentre Greta arrivava pianissimo a New York, in un deserto dell’Oregon moriva velocissima Jessi Combs, la donna-razzo di nemmeno quarant’anni detentrice del record di velocità su quattro ruote. Voleva stabilire il primato assoluto di velocità femminile, attualmente appannaggio di una signora su un veicolo triruote, pertanto sfrecciava a circa ottocento chilometri orari prima dell’incidente. Le dinamiche dell’impatto sono oscure ma credo interessino solo i materialisti; ai metafisici premono maggiormente le cause che portano a giocarsi la pelle così. Qualcuno dirà che un record di velocità è motivo frivolo, ma non è vero: è un modo come un altro per mettere alla prova i limiti, nella consapevolezza che il primo limite di cui siamo prigionieri è la vita stessa e che pertanto, se si esagera a voler sormontare spazio e tempo, può agguantarci la morte. L’eroismo va sempre mischiato a spreco e rischio, altrimenti è ipocrisia. Se si considera Jessi Combs come individuo, fulcro di affetti, la sua morte è senza dubbio una tragedia insensata. Se però la si erge a rappresentante dell’umanità, composta da tutti noi che pian pianino ci consumiamo al lume fioco della routine, ecco che le cause dell’incidente e le dinamiche dell’impatto perdono di ogni rilievo: per lei la morte è stata soltanto l’unico modo di non morire mai.

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