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Il controsenso di morire al supermercato

Antonio Gurrado

Cosa ci dice la morte di due donne tra gli scaffali sul valore della nostra vita

Morire al supermercato appare un controsenso perché è l’ambiente che identifichiamo come sorgente di vita o, meno aulicamente, il contesto rassicurante in cui troviamo ciò che ci consente di sopravvivere. È una sorgente artificiale, in quanto ci fa trarre nutrimento e conforto da comodi scaffali multicolori anziché durare i perigli dell’autosufficienza selvatica; il più delle volte, è anche conveniente.

 

Questo fine settimana però due donne, una nel torinese e una nel pisano, sono morte al supermercato. La prima ha avuto un infarto ma il negozio è rimasto aperto, distribuendo la spesa col cadavere sotto il lenzuolo. La seconda l’hanno trovata in bagno ieri ma pare fosse morta sabato o già venerdì.

 

Il supermercato, infatti, ci garantisce sopravvivenza a basso costo a patto di ottimizzare gli sprechi, continuando a vendere anche in circostanze estreme o non controllando che tutti i clienti entrati in bagno ne siano usciti regolarmente. Il risparmio è una santa cosa ma, perseguito ossessivamente, può avere di questi effetti collaterali; pertanto, quando un esercizio ci vende sopravvivenza a costi irrisori, teniamo presente di rimando che dà alla nostra vita un valore da hard discount.

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