Una mensa scolastica negli anni Quaranta (foto LaPresse)

Il vero pericolo non sono i capelli colorati, ma gli studenti con la schiscetta

Antonio Gurrado

A scuola, con i propri figli, i genitori provano a imporre il proprio spazio decisionale nell’ambito del pubblico, dello stato, della legge. Credono che il proprio parere coincida col diritto

Ci sono cose ben peggiori che presentarsi a scuola con le treccine blu: ad esempio, mandare a scuola i bimbi con la schiscetta e pretendere che mangino in mensa con gli altri, nonostante lo vieti una sentenza recentissima della Cassazione. È accaduto in una scuola milanese, alla Barona, ma è uno spicchio di mentalità italiana sopraffina. Portare il pranzo al sacco nelle scuole dove c’è un servizio di ristorazione è deleterio sotto più punti di vista: diseduca i pargoli a mangiare ciò che passa il convento; introduce inevitabili differenze fra alunni che possono permettersi cibo sano e alunni con una dieta composta di porcherie; svilisce il lavoro dei responsabili della mensa; comporta rischi di contaminazione di un ambiente che segue norme di sicurezza igienica; soprattutto, dilata l’ingerenza delle famiglie nella scuola come se non ce ne fosse già abbastanza.

 

 

È proprio questo il punto del contendere: più che risparmiare sul pasto o nutrire la prole, temo che ai genitori urga soprattutto invadere la scuola con la casa, ovvero imporre il proprio spazio decisionale nell’ambito del pubblico, dello stato, della legge. È, in piccolo, la stessa malattia che porta a sindacare i voti o a opporsi alle vaccinazioni: la persuasione che il proprio parere coincida col diritto. Sarà per questo che, come raccontano le cronache, i genitori di un bambino con la schiscetta hanno addirittura pensato di chiamare i carabinieri per forzare la mensa; presupponevano che la legge domestica valesse più di quella della Cassazione. 

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