La storia del becchino canterino è l'apoteosi dell'italianità
Non c'è niente di più italiano della vocazione allo spettacolo, anche quando inopportuna, come nel caso del beccamorti napoletano che canta mentre guida un carro funebre
Quant’è italiana la storia del becchino canterino, travolto dall’ira collettiva sui social dopo aver girato un video in cui cantava spensierato a squarciagola mentre guidava un carro funebre. Italianissima è la vocazione allo spettacolo che s’infila in ogni dove, addirittura microfono in mano e tono da consumato crooner con annuncio autopromozionale nel mezzo di una canzone neomelodica; italianissime sono la smania di farsi riprendere, la spacconeria di far inquadrare la bara, la protervia nel non prendere nulla sul serio che trascende fino all’esorcizzazione del tragico tout court. Ma altrettanto italiana, forse più, è la reazione che ne è seguita: il pubblico scandalo di un popolo pio, l’ingiuria di molti anonimi contro un individuo del quale è stato reso noto il nome, il moralismo sincronizzato per un fatterello puntiforme, che smutanda con la stigmatizzazione arcigna una leggerezza assurda; e poi ancora arci-italiano il quotidiano locale che intervista il reprobo, onde consentirgli di offrire sentite scuse ma anche di deviare il merito del discorso, argomentando che la bara era vuota quindi il problema non si pone e il pentimento va ridotto a effetto collaterale di uno scherzo malriuscito. Più italiano di tutto, però, è il metodo drastico scelto da alcuni utenti dei social per insegnare al becchino, il rispetto del lutto, del sacro, dell’oltretomba: minacciarlo di morte, perché i principi nel cui nome si insorge valgono sempre soltanto per gli altri.
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