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C'è un grosso problema nella classifica dei saggi più venduti in Italia

Antonio Gurrado

Perché intellettuali e saggisti devono sgomitare fianco a fianco con troniste di varia estrazione, aitanti montanari, sedicenni resi celebre da internet, star della tv, e così via?

Quando leggete su giornale la classifica della Serie A, siete chiamati allo sforzo supplementare di distinguere fra squadre vere e squadre immaginarie, o sorvolare su compagini dilettantistiche che per strane alchimie figurano davanti a quelle professionistiche, o peggio setacciare i club calcistici facendo lo slalom fra quelli di altre discipline che non c’entrano nulla? Certo che no, sarebbe assurdo. Eppure è ciò che siamo costretti a fare ogni volta che consultiamo una classifica dei saggi più venduti in Italia.

 

Ne prendo una a caso (quella della Lettura, ma una vale l’altra): specchiati giornalisti come Mario Calabresi e insigni accademici come Giovanni Filoramo devono sgomitare fianco a fianco con troniste di varia estrazione (Giulia De Lellis, Valentina Dallari), aitanti montanari (Mauro Corona), sedicenni resi celebre da internet (Valeria Vedovatti, Greta Thunberg), star della tv (Paolo Bonolis), e così via. Né è raro che i saggisti veri soccombano, vendendo meno rispetto ai libroidi e instillando nel popolo italiano, mai a pieno agio con la cultura, la confusa idea che un saggio di storia delle religioni o di diritto costituzionale sia meno credibile di “Le corna stanno bene su tutto”. Poi ci lamentiamo perché gli italiani cadono facilmente in preda a pseudoscienze e superstizioni, oltre che all’analfabetismo funzionale. Tanto per cominciare, si potrebbe definire saggio solo il libro che presenta fonti citate in nota: altrimenti, o è letteratura o è intrattenimento. 

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