La scoperta di Aleksandr Bublik
Il tennista kazako ha dichiarato di odiare il suo lavoro e di farlo solo per soldi. Quante verità in un colpo solo, quante implicazioni che i sociologi faticano ad afferrare, quanti sottintesi in così poche parole
Aleksandr Bublik, ieri non ti conoscevo e oggi sei il mio tennista preferito perché hai dichiarato di odiare il tuo lavoro e di farlo solo per soldi. Quante verità in un colpo solo, quante implicazioni che i sociologi faticano ad afferrare, quanti sottintesi in così poche parole; mi permetto di spiegarli io. Anzitutto, se uno ama il proprio lavoro, allora dovrebbe farlo gratis, allo stesso modo in cui, se ama una persona, non si fa pagare per vivere con lei; l’unica maniera possibile di amare un lavoro è trasformarlo in hobby ovvero lasciare che sia qualcun altro a patirne obblighi e incombenze. Di conseguenza quelli che vogliono farci amare il nostro lavoro, quelli che pretendono che lavoriamo con passione, sono quelli che vogliono schiavizzarci, ossia quelli che vogliono trasformare la nostra fatica quotidiana da scambio equo in impeto sentimentale disinteressato; così prima possono pagarci di meno, poi possono non pagarci affatto e infine possono chiederci loro dei soldi per farci svolgere il lavoro che amiamo. Infine, Aleksandr Bublik, mio simile e fratello, con le tue sbrigative parole da oscuro kazako hai domandato al mondo se la passione dei grandi per il proprio lavoro, la passione sbandierata dai Federer e dai Nadal di ogni campo, sarebbe la stessa se nelle loro tasche non tornassero le stesse cifre iperboliche. Chissà perché, ad appassionarsi di più al lavoro sono sempre quelli che guadagnano più di noi.
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Le incoronazioni costano, scandalizzarsi no
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