Kirk Douglas in Orizzonti di gloria, un film del 1957 co-sceneggiato e diretto da Stanley Kubrick

La "guerra" al virus e i nostri paragoni inadeguati

Antonio Gurrado

L'uso della metafora bellica per parlare della pandemia, nel tentativo di dirci una pietosa bugia, svela più di una mezza verità

Le metafore belliche sono inadeguate di per sé, sono inadeguate in quanto metafore, per il semplice fatto di applicare la terminologia della guerra a ciò che guerra non è. Nel corso dell’emergenza Coronavirus abbiamo assistito a tre ondate principali del senso di questa metafora.

  

La prima, il senso letterale, in cui si comparava la nostra attuale esperienza a quella vissuta da chi ha combattuto o vissuto in nazioni impegnate in conflitti; dire che avevamo dichiarato guerra al virus era evidentemente una compensazione, un tentativo menzognero di porre la situazione a livello delle precedenti e, al contempo, di esorcizzarla riconducendola a qualcosa di noto.

  

A questa prima ondata se ne è poi aggiunta una seconda, che non ha soppiantato del tutto la precedente ma ha preso a coesisterci: il senso antifrastico, ossia esplicitare il netto rifiuto dell’idea che stiamo combattendo una guerra, poiché la guerra contrappone gli uomini fra loro mentre in questo caso siamo contrapposti tutti insieme a un ente che ci rende vulnerabili. Si trattava evidentemente di una rassicurazione, di un’esortazione ad affrontare in una maniera senza precedenti una situazione senza precedenti, un tentativo menzognero di esorcizzarla facendo affidamento su una fantomatica pacificazione universale che mai e poi mai il genere umano ha vissuto né (temo) vivrà.

  

Infine ha iniziato ad affiorare qua e là, come reazione a entrambe, una versione della metafora che cercava di combinare creativamente le precedenti: quella secondo cui siamo sì nel corso di una guerra, ma di una guerra che il virus ha dichiarato a noi e non viceversa. Questa è, di tutte le accezioni della metafora bellica, la più stupefacente: perché nell’avvitarsi su sé stesso di un artificio retorico malriuscito implica che la natura è nemica dell’uomo, che fra noi e essa il gioco è a somma zero, che tutta la mitologia ambientalista della pacifica convivenza fra uomo e natura ci affascina quando stiamo bene ma traballa quando stiamo male. È la metafora più sconvolgente perché, nel tentativo di dirci una pietosa bugia, svela più di una mezza verità.

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