L'esame di maturità, un rituale puramente estetico
La morbosa insistenza collettiva sull’opportunità di tenere dal vivo ciò che resta delle prove serve solo a non privare gli studenti dell’emozione del colloquio e della sensazione di essere presi sul serio
La morbosa insistenza collettiva sull’opportunità di tenere dal vivo ciò che resta degli esami di maturità – di là dal caso che sia giusto o sbagliato – ha il pregio di mostrare la luna a chiunque non si ostini a fissare il dito. La pressione di alcuni alunni, genitori, insegnanti, presidi e scrittori sul ministro dell’Istruzione, acciocché gli esami si tengano in presenza, non si basa infatti né su fattori di sicurezza, in mano agli esperti e a oggi imponderabili, né su principii didattici, visto che non è ben chiaro in cosa differirebbe la valutazione di un orale dal vivo rispetto a un orale a distanza. Si basa invece su considerazioni puramente estetiche: non privare gli studenti dell’emozione del colloquio, del sollievo della liberazione dall'aula, della sensazione (solo la sensazione, però) di essere presi sul serio per la prima volta nella vita. Anche il ministro, rispondendo agli appelli, è ricorso all’estetica ricordando gli orali come uno dei giorni più belli della sua vita. Tutto ciò sottintende che ormai la maturità non abbia più alcun valore didattico effettivo (il 99,7% di promossi, l’anno scorso: che esame è?) ma è ridotto a rito di passaggio, un intermezzo fra il pranzo della cresima e l’addio al celibato al cui piacere i candidati non possono venire sottratti da un virus crudele. Personalmente non ho alcuna preferenza sullo svolgimento dell’esame: se lo vogliono fare dal vivo lo facciamo dal vivo, se lo vogliono fare online lo facciamo online, se lo vogliono fare in un bunker o in un prato di margherite lo facciamo in un bunker o in un prato di margherite. La mia modesta proposta tuttavia è che, trattandosi per acclamazione di un rituale puramente estetico, i commissari vengano sostituiti da figuranti, che magari recitano meglio.
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