Esami in maschera
La ragionevole proposta degli studenti e la fervida immaginazione degli adulti
Una delle poche cose che si sono capite, dalla conferenza stampa di Conte, è che gli esami di maturità si svolgeranno dal vivo; e un’altra delle poche cose che si sono capite, su come sta venendo amministrata la scuola in questo frangente, è che la scelta di svolgere gli esami di maturità dal vivo deriva dal desiderio di non privare gli studenti dell’emozione e della gioia di sostenere un colloquio orale in presenza. È per il loro bene, dunque, è perché lo vogliono loro.
Se non che a tre liceali bresciani è venuta l’idea di prendere una di quelle piattaforme di Google, utili per la didattica a distanza, e usarla per chiedere ai coetanei maturandi se fossero favorevoli all’idea del ministro. La situazione è sfuggita di mano e boom, hanno risposto in ventiquattromila, campione piuttosto significativo dei circa quattrocentomila che si diplomeranno quest’estate. E, sorpresa, il 75% ha detto di non ritenere giusto che si svolga l’esame in condizioni logisticamente precarie e giuridicamente incerte (mancano cinquanta giorni e ancora non c’è la normativa): anziché assegnare quaranta, cinquanta, sessanta punti su cento a una performance in mascherina, propongono di valutare su criteri oggettivi il lavoro svolto nel corso dell’anno scolastico, anzi dell’intero triennio. In linea teorica, hanno pure ragione. Ma all’atto pratico è una grave insubordinazione, da parte di ragazzi realmente esistenti, non voler adeguarsi alla fervida immaginazione degli adulti.
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