Il vero motore di ricerca è Manzoni
Il capo della task force del Ministero dell’Istruzione per la ripresa della scuola dice che “una volta per sapere chi fosse Carneade bisognava leggere Manzoni, oggi basta prendere un telefonino”. Che però rimanda ai Promessi Sposi
Patrizio Bianchi, capo della task force del Ministero dell’Istruzione per la ripresa della scuola, dice in un’intervista al Corriere che “bisogna dare spazio a un insegnamento più informale” e, per spiegarsi, fa un esempio. “Una volta per sapere chi fosse Carneade bisognava leggere Manzoni, oggi basta prendere un telefonino”. Credo che “una volta” risalga a quando ho studiato io, quindi mi son sentito in dovere di ripassare. Giù il telefonino, su “I promessi sposi”, dove al capitolo 8 colgo il celebre attacco: “Carneade! Chi era costui?”. Don Abbondio suppone trattarsi di “un uomo di studio, un letteratone del tempo antico”, e questa è la prima informazione che i lettori del Manzoni ricavano su Carneade; un po' vaga ma, nella scuola di oggi, più che sufficiente a prendere un sei. Che diventa sei e mezzo se si aggiunge, sempre con don Abbondio, un’inequivocabile testimonianza di partecipazione attiva alla didattica: “Questo nome mi par bene di averlo sentito, è un nome di quelli”. Dopo di che dal Manzoni si apprende che Carneade viene citato in un panegirico in onore di San Carlo, il quale viene paragonato anche ad Archimede, ben noto a don Abbondio: per cui dal Manzoni si evince che Carneade fosse non solo un antico uomo di studio ma anche un tizio meno famoso di Archimede. Con tutte queste informazioni, peraltro messe in relazione tramite collegamenti interdisciplinari, nella scuola di oggi si può prendere anche dal sette all’otto. Poi entra Perpetua e di Carneade il Manzoni non parla più. Forse, per sapere chi fosse, sarebbe stato meglio consultare un manuale di filosofia, che so l’Abbagnano; ma voglio fidarmi della task force e allora cerco Carneade sul telefonino. Il quale, col primo risultato, mi risponde: “Carneade! Chi era costui?”, facendomi meritare un bel dieci perché problematizzo le nozioni anziché impararle supinamente e recepire con passività l’insegnamento. Più informale di così.
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