Lapidi della libertà e foto degli aperitivi
A centosettantadue anni delle Cinque Giornate. Gli italiani sono stati persuasi che, se ci sarà un rialzo dei contagi, sarà colpa della Milano da bere
Lapidi di Milano, mi rivolgo a voi perché ormai siete le uniche persone decenti in cui m’imbatto quando esco. Lapidi di Milano, lapidi di via Monte Napoleone, lapidi che commemorano la rivolta contro gli austriaci nel 1848. Lapide di Palazzo Vidiserti, dove si rifugiarono ed elessero quartier generale i capi delle Cinque Giornate. Lapide sulla casa in cui Carlo Cattaneo “preparò con la sapienza civile il trionfo degli ordini liberi”. Lapidi meneghine in memoria dei primi semi concreti di libertà, indipendenza e unità, ascoltatemi.
Ora che Milano fa parte di una nazione il cui presidente del Consiglio è piuttosto vago sui piani futuri ma adamantino nel condannare i comportamenti gravissimi dei milanesi, rei di essere andati a comprare bevande d’asporto dai bar sui Navigli dopo che il governo aveva consentito ai bar sui Navigli di vendere bevande d’asporto.
Ora che Milano fa parte di una regione il cui presidente ammette candidamente di trovarsi di fronte a un’emergenza che non è in grado di gestire e per questo tentenna insondabilmente fra allarmismo e aperturismo.
Ora che Milano ha un sindaco che sembrava l’ultimo baluardo della ragionevolezza ma adesso ha ceduto perfino lui alla tentazione dell’intemerata colpevolizzante e dello sbrocco su internet, alla stregua di quei piccoli sindaci pittoreschi buoni solo a diventar virali sui social.
Ora che gli italiani sono stati persuasi che, se ci sarà un rialzo dei contagi, sarà colpa della Milano da bere, e non c’è verso di convincerli del contrario ostentando foto di strade deserte.
Ora che sono passati centosettantadue anni, lapidi di Milano, lapidi delle Cinque Giornate, lapidi della sapienza civile e degli ordini liberi, a me potete dirlo: siete sicure che ne sia valsa la pena?