Una scena di L'allenatore nel pallone, film commedia italiano del 1984 diretto da Sergio Martino

Il pubblico fa parte dello spettacolo

Antonio Gurrado

Come garantire il ritorno dei tifosi sugli spalti, in numero sufficiente a vivacizzare il mortorio di uno stadio deserto

Che si tratti di avatar proiettati, di foto segnaletiche, di effetti ottici virtuali o di un sottofondo preregistrato di esultanze e sacramenti, col ritorno in pianta stabile del calcio una cosa s’è capita subito: che il pubblico fa parte dello spettacolo. Significa cioè che esiste un pubblico di primo livello, quello presente sugli spalti degli stadi, il cui compito è intrattenere un pubblico di secondo livello, quello comodamente seduto sul divano di casa mentre guarda la partita in tv. Per questo si ricorre ai surrogati che menzionavo in apertura; e per questo – non per sensato risarcimento nei confronti degli abbonati, né per inchino agli ultras delle curve, né per incoraggiante ritorno alla normalità – s’inizia a pensare a come garantire il ritorno del pubblico dal vivo, più prima che dopo, fatte salve le norme di sicurezza e in numero sufficiente a vivacizzare il mortorio.

  

L’eco dei rintocchi del pallone nel catino vuoto o l’opportunità di sentire la voce dell’allenatore è un divertissement che vale per i primi tempi, consente forse agli ingenui di concentrarsi di più sulla trama del gioco, però alla lunga è stucchevole. I migliori club, i più organizzati, i più potenti saranno dunque quelli che durante codesta fase intermedia riusciranno per primi a garantire il  ritorno di persone, persone vere, il cui compito nei confronti dei telespettatori è fondamentale: li avvertono strillando quando stanno per addormentarsi, offrono intensi primi piani di visi di fede avversa mentre rosicano, espongono striscioni in rima baciata la cui esegesi è sufficiente a far volare via l’intervallo, occasionalmente menandosi forniscono un sempreverde motivo di vanto all’habitué del divano, il quale può sentirsi moralmente superiore.

 

Per questo è tempo che i club – ora che le rose sono sistemate, la preparazione atletica procede e il calendario è scritto nel dettaglio – mettano a posto l’ultimo tassello mancante: trovare tifosi disposti a sottoporsi a barocchi protocolli di sicurezza, file potenzialmente interminabili, controllo della temperatura, rischi di contagio nell’abbraccio d’impeto con sconosciuti puzzolenti e ciccioni, magari con una spranga infilata sotto la maglietta, pur di popolare gli spalti degli stadi a beneficio della tv. Basterebbe pagarli. 

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