Il jihad del coronavirus
Un uomo fermato a Milano per apologia e istigazione all’adesione all’Isis. In rete avrebbe dichiarato che il Covid è un dono di Allah per farci abbandonare le cattive abitudini. Anche i catastrofisti ottimisti lo dicono, ma non vengono arrestati
Non ha reso un gran servizio al proselitismo, il signore barese trapiantato a Milano che oggi è stato arrestato per apologia e istigazione all’adesione all’Isis. Pare infatti che fra l’altro abbia dichiarato che il Covid è un dono di Allah; una cosa positiva poiché la pandemia da un lato ha destabilizzato la società, facendo impazzire la gente costretta a restare terrorizzata in casa, dall’altro ha impedito ai non musulmani di praticare l’haram, ossia in sostanza ci ha soffiato tutti i vizi. Non so come la pensino gli imam ma, per invitare qualcuno alla conversione, forse non è la strategia migliore dirgli che Dio vorrebbe farlo vivere in un perpetuo lockdown, in cui le occasioni di peccato venissero annullate da paura e coercizione. Ma, al netto di questo, la parte più interessante della teoria dello jihadista appulo-meneghino è quella meno teologica e più sociologica; quella insomma secondo cui la pandemia era un modo drastico per metterci in crisi e farci abbandonare le cattive abitudini. Sembra di risentire quei catastrofici ottimisti che, all’inizio dell’emergenza coronavirus, dicevano che era colpa nostra, che la pandemia ci avrebbe portati a ridiscutere le nostre vite, che ci avrebbe ridimensionati e trasformati, che ci avrebbe fatto capire tutti i mali del capitalismo, facendo collassare il sistema, e che ne saremmo usciti migliori. Di loro, nessuno è stato arrestato.