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Le stonature della polizia del linguaggio
Il curatore della National Gallery di Washington, già al centro delle polemiche per la mostra di Philip Guston, viene aggredito anche per un parola innocente
Sappiamo tutto sulla scelta, da parte della National Gallery di Washington, di posporre indefinitamente una mostra di Philip Guston in quanto contemplava l’esposizione di cappucci del Ku Klux Klan. Ne è sortita una polemica elevata su cui non torno poiché m’interessa di più il destino del curatore museale, Darren Walker. Walker ovviamente s’è scusato, com’è obbligo di moda; tuttavia, nel fare pubblica ammenda, ha dichiarato che la presenza di cappucci del KKK nella mostra, benché allo scopo di denunciare il razzismo, “era stonata rispetto all’evoluzione del dibattito pubblico”. Apriti cielo.
Poco dopo, riferiscono i giornali americani, Walker s’è sentito chiamato a nuove scuse, stavolta per aver utilizzato un linguaggio discriminatorio nei confronti dei disabili: le sue parole, infatti, risultavano lesive nei confronti degli stonati. Sicuramente ha contribuito all’inghippo il caso che, in lingua originale, la frase che ho maldestramente tradotto con “essere stonato” si dica “to be tone deaf”, ossia letteralmente “essere sordo al tono”, e quindi possa in generale venire interpretata come un’offesa a chi non ci sente. Va detto anche, tuttavia, che essere stonati non è ancora stato riconosciuto né come malattia né tampoco come disabilità, e che inoltre è poco chiaro a vantaggio di chi dovrebbe andare l’esercizio della discriminazione nei confronti degli stonati: a vantaggio delle quattro persone con orecchio assoluto, capaci di distinguere un fa diesis da un sol bemolle?
Fatto sta che Walker, per andare sul sicuro, si è scusato del proprio linguaggio inappropriato sia con gli stonati, sia coi sordi, sia con tutti i disabili. Un po’ come se io, che sono stonato e anche un po’ sordo, dopo aver scritto queste righe benevole dovessi scusarmi sia con Walker, sia coi curatori museali, sia con tutti i lavoratori in generale.
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