Bandiera Bianca
Sessismo o ignoranza? Il post del prof. di Milano su Harris
Un docente della Statale scrive che Kamala ha fatto carriera grazie alle sue frequentazioni private. Subito il coro: sessismo, discriminazione, molestia. Nel merito può essere anche giusto, ma attenti al metodo
Sessismo, discriminazione, molestia. E poi ancora indegno, inaccettabile, squallido stereotipo e pregiudizio. Questo è il grosso dei commenti al post su Facebook in cui un professore dell’Università Statale di Milano ha dichiarato che Kamala Harris è diventata vicepresidente degli Usa a causa (edulcoro un bel po’) delle sue frequentazioni private. È ovvio che si tratta di un’illazione infondata ed è ovvio che si tratta di tutto ciò che ho elencato all’inizio.
Il punto tuttavia è che la reazione di studenti e colleghi è stata tutta calibrata sull’etica – pare che l’ateneo avvierà quest’oggi un procedimento disciplinare – quindi sul principio che un docente universitario possa o meno dire determinate cose, o che debba o meno professare determinate idee. Di là dall’aver ragione nel merito, il metodo come sappiamo è rischioso: cosa succederà quando l’idea o le parole censurabili avranno a che fare con l’espressione della propria posizione politica, della propria fede religiosa, del proprio orientamento sessuale?
Sorprende invece che sia sfuggito del tutto il dettaglio che il professore in questione insegni Storia delle dottrine politiche, e sia insomma uno specialista del settore su cui ha espresso un giudizio così leggero e avventato a dir poco. A questo punto, delle due l’una: o i suoi saggi (che sembrano interessanti, su Jefferson e su molta teoria politica americana) sono scritti con la stessa pecoreccia superficialità della ricostruzione congetturale della carriera politica di Kamala Harris, e non credo.
Oppure sui social si lascia andare a cadute di stile da cui la sua mentalità scientifica si serba immune quando conduce ricerca, scrive saggi, fa lezione. Nel primo caso, remoto, il problema non sarebbero le idee di per sé ma proprio l’abilitazione all’insegnamento universitario. Nel secondo caso, più verosimile, basterebbe ricordarsi che i professori universitari, almeno loro, avrebbero da fare cose un po’ più serie che scrivere cazzate su Facebook.