Procura di Bergamo (Foto LaPresse - Sergio Agazzi) 

Bandiera Bianca

Se si vuole ammazzare qualcuno, conviene sposarselo

Antonio Gurrado

Domande per i signori della Corte che ha assolto un ottantenne reo confesso dall’accusa di omicidio premeditato della moglie

    Esisterà sicuramente una giustizia poetica ma esiste soprattutto la giustizia prosaica, che riempie pagine e pagine soporifere facendo lo slalom fra sinonimi. Ieri sono state rese note le motivazioni di una sentenza che un paio di settimane fa aveva destato scandalo, assolvendo un signore ottantenne dall’accusa di omicidio premeditato della moglie sessantenne, pur in presenza di confessione dell’imputato. La Corte aveva ritenuto che l’aggressore, colpendo la vittima con un mattarello e poi a coltellate, agisse in preda a un “disturbo delirante” di gelosia, sufficiente a “minare la sua capacità di intendere e di volere”.

        

    Non mi esprimo sulla sentenza poiché non ho sotto mano il Codice penale; il dizionario etimologico però sì, quindi posso approfondire un paio di singolari scelte lessicali. Nelle motivazioni si legge che bisogna distinguere tra “patologia” (come il disturbo delirante di gelosia) e lo “stato d’animo passionale”, ovvero la gelosia tout court. È interessante come solo a quest’ultimo venga ascritta la volontarietà dell’azione nonostante che entrambi i termini derivino da patire, individuino cioè qualcosa che si subisce; quando, nel 1649, Cartesio scrisse un trattato sugli stimoli esterni esercitati sull’uomo, sulle percezioni e sulle affezioni cui non può sottrarsi, lo intitolò appunto “Le passioni dell’anima”.

      

    Ma soprattutto le motivazioni richiamano la necessità di distinguere fra femminicidio e uxoricidio: a parità di suffisso, è un bel modo di dire che bisogna distinguere fra foemina e uxor. La prima è una persona denotata dall’appartenenza a un genere; la seconda è la stessa persona che però, nel frattempo, si è sposata.

     

    Traggo da questa sottigliezza alcune domande per i signori della Corte. Alla luce della sentenza, bisogna dedurre che l’uccisione di qualcuno in ragione dell’appartenenza a un genere rientri nell’ambito delle passioni, mentre quando interviene un grado di parentela si sconfina nella patologia? Vuol dire che, al momento di contrarre matrimonio, una persona deve tener presente i rischi cui va incontro? O che, se proprio si vuole ammazzare qualcuno, alla fin fine conviene sposarselo?