Bandiera bianca
Non adottare uno scrittore, "salva uno studente"
Far passare la lettura come un'azione umanitaria non è il metodo più efficace per promuovere la letteratura. Il salone del Libro di Torino, le iniziative rivolte alle scuole e una retorica che non convince
Che il prossimo Salone del Libro di Torino si tenga dal vivo – a ottobre, pandemia permettendo – è un’ottima notizia: significa che la cultura non ha intenzione di cedere a chi vuol trasformare l’emergenza in nuova normalità. Che al ricollocamento ottobrino si affianchino iniziative virtuali primaverili, sulla piattaforma SalTo+, è una buona notizia: significa che non tutto il male vien per nuocere e che le forme di aggregazione alternative sperimentate forzosamente negli ultimi mesi potranno continuare a venire utilizzate con juicio. Che una corposa parte delle iniziative del Salone sia rivolta alle scuole, è una discreta notizia: significa che, nonostante i lai elevati nell’ultimo anno, la scuola esiste ancora.
Solo non mi convince che, per la diciannovesima volta, l’iniziativa che porta gli autori del Salone nelle scuole si chiami “Adotta uno scrittore”: dà l’idea che lo scrittore sia un cane malmesso, che vagabonda per gli istituti a cercare qualche adolescente pietoso abbastanza da garantirgli da vivere coi diritti di libri acquistati a peso. Non è il metodo più efficace per esortare alla lettura, farla risultare un’azione umanitaria. Questo invece sarebbe stato l’anno giusto per cambiar nome; se c’è una cosa che la pandemia ha insegnato ai ragazzi, rinchiusi in casa, è che i genitori sono insopportabili, gli insegnanti fastidiosi, i compagni di classe superflui, lo smartphone ansiogeno e la realtà orribile. Stare in un angolo a leggere, magari coi tappi nelle orecchie, mentre tutt’attorno il mondo impazzisce e la casa anche, è il modo più sicuro e funzionale di venirne fuori. Quest’anno “Adotta uno scrittore” avrebbe dovuto chiamarsi “Salva uno studente”.