(Lapresse)

bandiera bianca

Fammi un caffè, cara macchinetta

Antonio Gurrado

Tutto digitalizzato, persino il caffè. Se non altro si evitano il cattivo gusto dell'ordine perentorio o la pietosa formula di cortesia

“Fammi un caffè” è credo la più odiosa delle richieste, quanto meno all’imperativo, talché perfino al bar io cerco spontaneamente di corredarla di condizionali e salamelecchi, riverenze e implorazioni, né escludo prima o poi di dire, saltando a pie’ pari il bancone di fronte a un barista troppo stanco o indaffarato: “Lasci stare, faccio io”.

 

“Fammi un caffè” è un ordine che olezza di sordidi patriarchi, boss ottusi, segretarie sottomesse, assistenti vilificati: tanto più che farsi un caffè da soli è facilissimo – penso basti avere entrambe le mani – è rapido ed è bello, che sia con il clangore della leva della macchinetta automatica e l’emozionante interruzione dell’erogazione al momento giusto, non un istante prima né dopo; che sia con il sapiente spargimento di polvere nella moka, con annessi e connessi segreti familiari e superstizioni personali che si perdono nella nebbia della leggenda irrazionale. Inoltre, con le macchinette programmabili, da tempo ormai uno è libero di prepararsi il caffè quando ha voglia di farlo e di trovarselo pronto quando ha necessità di berlo.

 

Ora, senza voler diventare Eduardo De Filippo, mi ha strabiliato per questo la scoperta dell’accordo fra un assistente vocale informatico e una nota ditta di caffè e macchinette, che consente di dire “Fammi un caffè” entrando in casa o languendo fra le coperte, e di venire prontamente esauditi. Va bene l’internet delle cose, ma ce n’era davvero bisogno? Forse, se si dispone di tutti gli arti, no. Ma è probabile che il caffè digitalizzato, il caffè 4.0, risponda a un’esigenza dell’umanità più radicata e intrinseca della stessa caffeina: quella di non dover dire né per favore né grazie.

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