La tennista giapponese Naomi Osaka (Ansa)

Bandiera bianca

Il caso Osaka indica l'esigenza di una nuova figura nello sport: il "dichiaratore ufficiale"

Antonio Gurrado

La querelle al Roland Garros va oltre il singolo caso della tennista giapponese. Basta con dichiarazioni banali, ripetitive e spesso pure sgrammaticate: largo ai professionisti

Per lo sport è giunta l’ora del dichiaratore. La querelle su Naomi Osaka, prima tutti sdegnati perché snobbava le conferenze stampa, poi tutti contriti perché ha preferito abbandonare il Roland Garros travolta dalla depressione, ha una portata che oltrepassa il singolo caso e invoca l’esigenza di una nuova figura professionistica. C’è l’atleta, c’è l’arbitro, c’è il dirigente, c’è l’allenatore, c’è l’organizzatore; è tempo che a queste specializzazioni si aggiunga colui che viene pagato da uno sportivo per prendere il microfono e dire qualcosa di sensato. La progressiva e inarrestabile spettacolarizzazione dello sport – quella stessa che impone le conferenze stampa obbligatorie al Roland Garros, che induce Cristiano Ronaldo a subire fallo al solo scopo di mettersi in posa prima di tirare la punizione, o che renderà la Superlega inevitabile ed entusiasmante fra due o tre anni – esige che il professionismo venga applicato a tutti i campi.

 

Così come non è accettabile un atleta che si nutra da McDonald’s o guardi i tutorial su YouTube, così non si può continuare a sentire dichiarazioni banali e ripetitive, talora sgrammaticate, rilasciate da atleti che già in poltrona non avrebbero gran che da dire, figuriamoci dopo aver corso o saltellato per ore. Il dichiaratore ufficiale si presenterebbe invece davanti a:lle telecamere fresco e preparato, profumato per giunta, e parlando in prima persona presterebbe voce e idee all’atleta, che intanto si riposa o si deprime; parlerebbe forbito, magari in endecasillabi sciolti, e costituirebbe di per sé motivo d’interesse più di un poverino che esala mentre il cronista gli chiede di commentare ciò che tutti hanno appena visto in mondovisione. Sarebbe inoltre un modo di garantire un solido futuro nello sport alle caterve di velleitari umanisti che hanno intrapreso la carriera intellettuale anziché darsi al podismo, o magari all’ippica.

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