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L'11 luglio festa nazionale? Un modo per arrivare a fischiarci l'inno da soli
L'anniversario congiunto delle vittorie al Mundial '82 e a Euro 2020 non farebbe altro che dividerci: come ogni 25 aprile o 1° maggio
Vorrei lanciare un appello per non far diventare l’11 luglio festa nazionale, a differenza di quanto proposto da Fulvio Collovati. L’anniversario congiunto delle vittorie al Mundial ’82 e all’Europeo 2021 merita destino migliore; noi italiani invece istituiamo feste nazionali al precipuo scopo di dilaniarci. Devo ricordarvi la stucchevole quadriglia che si verifica puntuale ogni 25 aprile, fra attualizzazioni più o meno patetiche e distinguo più o meno pelosi? Il primo maggio è talmente divisivo che, con lo strascico di polemiche a ogni concertone, fa venire voglia di passare la giornata a lavorare anche ai più sfaticati. Non parliamo del 2 giugno, che un tempo era derubricato senza mezzi termini a celebrazione parafascista (stile “Vogliamo i colonnelli”), mentre ora è diventato sentina di recrudescenze monarchiche, magari con annessa richiesta di riconteggio per il referendum del ’46.
Il 17 marzo, che è anniversario risorgimentale, fa risorgere soprattutto nostalgie borboniche e rimpianti sabaudi: non era meglio tenersi Nizza e Savoia lasciando perdere tutto il resto? E, se qualcuno ricordasse che il 7 gennaio è la giornata del tricolore, sbucherebbe sicuramente qualche proposta per farlo diventare nero, fucsia e marrò. Non c’è niente di meglio di una festa nazionale per confermare agli italiani che il loro nemico è italiano. Celebrare l’11 luglio comporterebbe un futuro di dibattiti e recriminazioni sul processo a Mancini per bancarotta fraudolenta o sulla mitologica combine di Vigo col Camerun. Tempo di arrivare ai Mondiali in Qatar, e finiremmo per fischiarci l’inno da soli.
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