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Il valore dell'atletica leggera va oltre le medaglie di Jacobs e Tamberi
Società prese d'assalto dai genitori che vogliono iscrivere i figli sulle orme dei due campioni olimpici. Ma la vera morale di questo sport è il saper soccombere
In questi morti giorni d’agosto, in cui la principale notizia è che d’estate fa caldo, spicca un titolo secondo cui le società di atletica leggera stanno venendo prese d’assalto da genitori che vogliono iscrivere i figli sulle orme di Jacobs e Tamberi. È lampante che l’atletica leggera è forse lo sport in sé più bello. È anzi lo sport eterno, dato che – come spiegava anni fa Gian Paolo Ormezzano – la sua pratica consiste nelle azioni ataviche dell’uomo: camminare, correre, saltare, lanciare qualcosa. Viva l’atletica leggera, dunque! Ma abbasso i genitori italiani, che per accorgersene hanno dovuto aspettare un’inverosimile pioggia di medaglie d’oro.
E se camminare, correre, saltare e lanciare qualcosa sono attività ataviche dell’uomo, non così vincere: in uno sport crudele e oggettivo come l’atletica leggera, in cui un centesimo o un centimetro decide della vittoria e della sconfitta, lasciarsi attrarre da prospettive dorate è quanto meno ottimistico, se non fantasioso. Sarebbe stato meglio se, per iscrivere i figli alle società di atletica leggera, i genitori italiani si fossero lasciati ispirare da quelli che arrivano secondi, ultimi, eliminati nelle batterie e mai qualificati; quelli insomma che dimostrano che anche soccombere è un’attività atavica dell’uomo. Così i genitori italiani avrebbero evitato ai figli di scoprirlo da soli fra un mese o due.
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