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Giuseppe Conte, l'avvocato sfidato dal suo popolo
La gestione dell'elezione del presidente della Repubblica da parte del M5s e le legittime domande a cui l'ex premier si sottrae
È sabato mattina. Stretto d’assedio da telecamere e microfoni, baciato da un gran sole invernale, Giuseppe Conte sta spiegando alla nazione come la scelta del Mattarella bis sia non solo la migliore possibile ma anche del tutto coerente con l’annuncio, la sera prima, che l’Italia avrebbe finalmente avuto un presidente donna. A stento porta a termine la circonlocuzione, dando l’ultima avvitatina alle subordinate e passando una mano di vernice arcaizzante sul lessico, quand’ecco una voce fuori campo che domanda: “Era proprio necessario far passare tutto questo tempo e spendere tutti questi soldi per lasciare tutto com’era prima?”. Dall’inflessione dialettofona e dalla grana grossa del ragionamento, si capisce al volo non trattarsi di un giornalista; è un passante che, scorto Giuseppe Conte in mezzo al capannello, si è affacciato per porre la questione che evidentemente lo tormenta. In fondo c’è da capirlo: gli avevano detto che avrebbero aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno, che avrebbero dato un taglio francescano alle spese, che l’impeachment qurinalizio era praticamente cosa fatta. Giuseppe Conte ristà, recepisce la domanda, ne individua la sorgente, finge di non averla sentita e, tacendo, rientra a palazzo svanendo in un vano buio. Telecamere e microfoni staccano. Peccato, perché altrimenti sono certo che si sarebbe sentita la voce fuori campo esclamare: “Avvocato! Avvocato! Dove va? Sono il suo popolo!”.
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