Bandiera Bianca
La natura cattiva di Artavazd Pelechian
il nostro rapporto con l’ambiente è improntato a un equivoco etico di fondo. L'intervento umano, l'estetica da ricercare e i luoghi comuni che confondono le cose
Mentre fuori traballava il governo, incombeva la guerra, impazzava la crisi energetica e Chiara Ferragni si accorgeva che in città può capitare di venire derubati, io ero comodamente seduto a godermi “La Nature” di Artavazd Pelechian durante l’inaugurazione della Triennale di Milano. Il film dell’ultraottantenne regista armeno consta di un montaggio di scene apocalittiche: mareggiate devastanti, spietati tornado, vulcani che grondano lava, ghiacciai che travolgono tutto, con sottofondo d’archi molto thrilling. E pensavo – oltre che con ogni evidenza non viviamo nel migliore dei mondi possibili – che tutto il nostro rapporto con l’ambiente è improntato a un equivoco etico di fondo.
Diamo per scontato che la natura sia buona (buona come ce la immaginiamo: con gli uccellini e i ruscelli e le frasche), ragion per cui il nostro intervento umano, essendo innaturale, risulta per ciò stesso cattivo. Un’oretta di film come quello di ieri basta invece a concludere che la natura è cattiva (cattiva come ce la immaginiamo: con le tempeste e i terremoti e i disastri variegati), ragion per cui il nostro intervento umano, essendo innaturale, serve a contenerne la cattiveria quindi è buono. O almeno, come nel film di Pelechian, serve a trasformare la natura in opera d’arte, dando almeno un senso estetico al suo accanimento cieco e incomprensibile.