bandiera bianca
Pogacar e Vingegaard, come Coppi e Bartali, ci ricordano il senso del ciclismo
Rileggere Buzzati per capire il gesto di sportività al Tour de France: così come nel pellegrinaggio non conta la meta ma l’itinerario, nelle corse a tappe non conta il podio ma il percorso
“Non mollare, bicicletta!”, scriveva Dino Buzzati in un antico reportage dal Giro d’Italia per il Corriere: era il 1949 e stava sorgendo la rivalità fra Coppi e Bartali, quella che di lì a poco avrebbe portato alla celeberrima e icastica scena del passaggio di borraccia. La bicicletta non ha mollato, quindi Coppi e Bartali oggi si chiamano Pogacar e Vingegaard: lo hanno detto tutti e tanto più dopo la scena di ieri, con Pogacar che cade sulla discesa del Col de Spandelles e Vingegaard in maglia gialla che aspetta il rivale per farsi attaccare (in teoria) e per attaccarlo (in pratica) ad armi pari dopo aver percorso un metro o due mano nella mano.
Tutti dicono che è il Tour più bello degli anni recenti ed è vero; ma le corse a tappe, scriveva Buzzati in quel lontano pezzo, sono “una faccenda stramba e assurda” poiché i ciclisti sono “cavalieri erranti che partono a una guerra senza terra da conquistare”, “pellegrini in cammino verso una città lontanissima che non raggiungeranno mai”. Ma come, diranno tutti, uno fra Pogacar e Vingegaard (più Vingegaard) non conquisterà il Tour, non arriverà a Parigi in maglia gialla? Certo, però non conta: così come nel pellegrinaggio non conta la meta ma l’itinerario, nelle corse a tappe non conta il podio ma il percorso. I ciclisti, aggiungeva Buzzati, sono “monaci di una speciale confraternita che ha le sue dure leggi: ciascuno spera nella grazia, ma a pochissimi, uno o due per decennio, la grazia viene concessa”.
I due graziati di questo decennio sono Pogacar e Vingegaard; gli altri sono una massa damnationis che si affanna a otto minuti o a due tre ore di distanza. Però quel gesto, quell’attesa e quel cercarsi fra mani, ha rivelato che non la maglia gialla conta, non la gara, non la classifica ma la consapevolezza che centottanta uomini bruciati dal sole pedalano verso qualcosa di sacro, che non è sul traguardo ma dentro di sé. Per questo noi, a bordo strada o sui nostri divani, tifiamo per tutti e diventiamo felici.