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Aboliamo il reddito di insegnanza
Contro la pratica, distinta dall’insegnamento, grazie alla quale fior di docenti sono inchiavardati alle cattedre nonostante lavorino male o non lavorino affatto
Modesta proposta elettorale: aboliamo il reddito di insegnanza. Non è un refuso né sono già ubriaco; con “insegnanza” intendo quella pratica, distinta dall’insegnamento, grazie alla quale da questa mattina fior di docenti sono inchiavardati alle cattedre nonostante che lavorino male, non lavorino o (caso più drammatico) siano convinti di lavorar benissimo restando sordi a segnali inequivocabili dal contesto. Come, ad esempio, il caso che i loro alunni non sappiano nulla della materia in questione.
L’insegnanza – col correlato reddito che equivale in tutto e per tutto allo stipendio di un insegnante competente che lavora bene e prepara adeguatamente – l’insegnanza, dicevo, è il cancro della scuola dal primo all’ultimo giorno dell’anno. Confonde l’insegnamento con la presenza fisica in aula e in cattedra; presuppone che per guadagnare non conti l’attività ma solo l’anzianità, ovvero che (come col reddito di cittadinanza) basti respirare; demotiva talentuosi e volenterosi dimostrando che a braccia conserte otterrebbero lo stesso riconoscimento; trasmette agli alunni il sillogismo implicito per cui, se l’insegnante non è bravo ma se la cava comunque, senza essere bravi se la caveranno anche loro, tanto verranno sempre promossi. Ma questo è un altro discorso, il reddito di studentanza.
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