Una scena di Amarcord, film del 1973 di Federico Fellini  

bandiera bianca

Aboliamo il reddito di insegnanza

Antonio Gurrado

Contro la pratica, distinta dall’insegnamento, grazie alla quale fior di docenti sono inchiavardati alle cattedre nonostante lavorino male o non lavorino affatto

Modesta proposta elettorale: aboliamo il reddito di insegnanza. Non è un refuso né sono già ubriaco; con “insegnanza” intendo quella pratica, distinta dall’insegnamento, grazie alla quale da questa mattina fior di docenti sono inchiavardati alle cattedre nonostante che lavorino male, non lavorino o (caso più drammatico) siano convinti di lavorar benissimo restando sordi a segnali inequivocabili dal contesto. Come, ad esempio, il caso che i loro alunni non sappiano nulla della materia in questione.

   

L’insegnanza – col correlato reddito che equivale in tutto e per tutto allo stipendio di un insegnante competente che lavora bene e prepara adeguatamente – l’insegnanza, dicevo, è il cancro della scuola dal primo all’ultimo giorno dell’anno. Confonde l’insegnamento con la presenza fisica in aula e in cattedra; presuppone che per guadagnare non conti l’attività ma solo l’anzianità, ovvero che (come col reddito di cittadinanza) basti respirare; demotiva talentuosi e volenterosi dimostrando che a braccia conserte otterrebbero lo stesso riconoscimento; trasmette agli alunni il sillogismo implicito per cui, se l’insegnante non è bravo ma se la cava comunque, senza essere bravi se la caveranno anche loro, tanto verranno sempre promossi. Ma questo è un altro discorso, il reddito di studentanza.

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