Foto di Neil Hall, via Ansa 

Bandiera Bianca

Lode a "Love Actually", anche se per il politicamente corretto non è inclusivo

Antonio Gurrado

Il regista fa abiura per la scarsa diversità del film. È una delle pellicole più amate del mondo, ma se avesse voluto accontentare tutti, non l'avrebbe guardata nessuno

Ora che è iniziato il periodo delle feste, anziché mettervi come sempre a guardare “Love Actually”, fate una serena autocritica. Richard Curtis, il regista, l’ha già fatta: ha ammesso che per la scarsa diversità del film oggi si sente piuttosto stupido, e che guardandolo con le lenti dell’inclusività si capisce che è una pellicola datata. Sono passati quasi vent’anni dall’uscita di “Love Actually” e questa sconfessione non significa che è cambiato il senso del film, solo che è cambiato il senso della diversità e, insieme, del sentimento.

 

A me “Love Actually” pare piuttosto diversificato: ci sono dentro la fiaba e il tradimento per noia, la timidezza e l’incoscienza, il lutto e la speranza inattesa, la rassegnazione e il perdersi nell’anima gemella, la solitudine e l’impegno coniugale, per non parlare del poco esplorato campo dell’amicizia fra uomini al tramonto. Tutte sensazioni che attorno all’amore abbiamo provato tutti, indipendentemente da chi siamo; ed è questo che ha reso il film un successo universale.

 

I detrattori di “Love Actually”, che hanno indotto il regista all’abiura, sostengono invece che la finzione debba rispettare la diversità nei personaggi anziché nella trama, esaltandone l’eguaglianza. Avrebbe quindi dovuto raccontare la storia di un meraviglioso amore eterosessuale, di un meraviglioso amore omosessuale, di un meraviglioso amore bisessuale, di un meraviglioso amore transessuale, di un meraviglioso amore demisessuale, di un meraviglioso amore asessuale, eccetera eccetera eccetera. Sarebbe stato un film noiosissimo: avrebbe accontentato tutti, non l’avrebbe guardato nessuno.

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