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Il MeToo all'italiana, un problema di hashtag
Molestie e storie schifose, ma anche piccoli cortocircuiti logici. Consigli non richiesti alle attrici di #apriamolestanzediBarbablù
È indubbiamente colpa della mia ignoranza se non conosco mezza delle famosissime attrici, cantanti e showgirl che stanno imbastendo un MeToo all’italiana. Ed è sicuramente colpa della mia scarsa propensione alla socialità virtuale se #apriamolestanzediBarbablù è un hashtag che mi colpisce per vana prolissità e scarso appeal. Poi sarà colpa del mio puntiglio fine a sé stesso il domandarmi cosa c’entri Barbablù, leggendario uccisore di mogli, in una campagna per carità nobilissima ma in cui nessuna è stata uccisa né tampoco si è sposata. Frammezzo a tutte queste mancanze, mi resta per fortuna da far affidamento sulla logica.
Leggo quindi su Repubblica la storia di una donna (perdonatemi, i nomi proprio non me li ricordo) alla quale un produttore domanda: “Lo sai perché ti rinnovo il contratto?”. “Perché sono brava”, risponde lei; ma il laido la attira a sé e inizia a palparla sui punti specifici a cui attribuisce il merito del rinnovo. Ora, è indubbio che si tratta di una storia schifosa fiorita in un ambiente squallido; e presumo che il produttore abbia commesso un reato, se ha abusato del ruolo professionale. Ma, se solo mi ricordassi chi è, vorrei scrivere alla vittima per avvertirla: guarda che dalla storia che tu stessa hai raccontato, sorella mia, si deduce in modo evidente che ti hanno rinnovato un contratto anche se non sei brava.
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