bandiera bianca
Il marchese de Sade ambientato in una casa di cura di Foggia
Le cronache di violenze, abusi e angherie commesse nella struttura sanitaria foggiana ci ricordano quanto l'autore delle "120 giornate di Sodoma" sia perfetto per raccontare la natura umana
Fosse un film, o un romanzo, non potrebbe che intitolarsi “Le centoventi giornate di Foggia”. La realtà invece è più prosaica e squallida, ridotta a notiziola di taglio basso in cronaca, che riferisce di questa casa di cura dauna dove gli addetti – anziché accudire i disabili fisici e psichici affidati loro – li angariavano non solo trascurandoli, lasciandoli nella sporcizia e, se proprio, intimando ai meno disagiati di lavare e vestire quelli non autosufficienti; ma addirittura, almeno secondo l’accusa, insultandoli quali “storpi” e “bocchinare”, palpeggiandoli sconvenientemente, facendoli accoppiare davanti al pubblico semicosciente dei loro compagni di sofferenza.
Pare che dalla documentazione fornita dai carabinieri emerga una sofisticazione nelle malefatte che esige indubbiamente più ingegno e sforzo di quanto non richieda il semplice prendersi cura dei più deboli: o almeno li esigerebbe, se davvero l’uomo fosse buono per natura quindi istintivamente portato alla tutela del simile, alla fuga dall’abiezione, all’empatia per il prossimo. Invece, chi l’avrebbe mai detto, basta un taglio basso in cronaca, la trascurabile notizia di una casa di cura a Foggia, per dimostrare che era Rousseau quello che scriveva romanzesche, fantasiose proiezioni morbose estremizzando alcune caratteristiche secondarie dell’animo umano; mentre il filosofo in grado di descrivere la natura umana esattamente com’è, senza particolari esagerazioni, era il tanto vituperato marchese de Sade.