bandiera bianca
La biografia prevale sempre sull'etichetta
Cosa ci dice sulle nostre malriposte speranze la storia della trans scozzese trasferita dall’ala femminile di un carcere a quella maschile perché, quando era stata condannata per stupro, era un uomo
Una trans scozzese è stata trasferita dall’ala femminile di un carcere a quella maschile perché, quando era stata condannata per stupro, era un uomo. Questa notizia ci dice un paio di cosette sulle nostre malriposte speranze, se non sulla nostra ipocrisia.
Anzitutto, in ogni paese civile, il sistema penale si fonda sulla riabilitazione, quindi sul principio che a un certo punto della detenzione il condannato diventi (metaforicamente, spiritualmente) un’altra persona. Nella detenuta trans questo cambiamento è avvenuto anche in senso biologico e giuridico (è un’altra persona, adesso) però la società non può riconoscerlo: anche se ha cambiato identità e genere, le altre detenute si sentono minacciate dalla sua presenza e i giudici non possono correre il rischio di favorire la reiterazione del reato, poiché sentono che in realtà si tratta della stessa persona.
La giustizia, inutile dirlo, si fonda su leggi uguali per tutti ma viene applicata caso per caso: ed è il motivo per cui la trans scozzese, che in quanto tale ha formalmente diritto a venire alloggiata nell’ala femminile, all’atto pratico non può essere reclusa lì a causa della sua storia personale. Non ha quindi molto senso, temo, interpretare le persone e i loro diritti in base a categorie astratte o a iniziali esoteriche, anziché come individui; la biografia prevale sempre sull’etichetta che ci incolliamo addosso e quella lì e la nostra vera identità.