Foto di Matteo Corner, via Ansa 

Bandiera Bianca

Pagare l'università a chi non ha i mezzi? Sì, purché ne abbia i meriti

Antonio Gurrado

Un'altra lodevole iniziativa per offrire gli studi agli studenti di legge meno abbienti. Commendevole, ma se a donare è lo stato, allora è necessario che il premio non vada a fannulloni e fuoricorso 

Commendevole iniziativa, quella di pagare l’università a chi non può permettersela. È tornata alla ribalta per via di uno studio legale milanese, che offrirà una borsa di studio ad alcuni laureandi in legge poco abbienti; per fortuna, però, in Italia soluzioni del genere (benché rare) non mancano. Certo, non sono abbastanza, quindi non si può che insistere sull’utilità e il beneficio di pagare l’università a chi non può permettersela: basta accordarsi su cosa significhino i termini.

 

Ad esempio, “chi non può permettersela” significa, deve significare “i capaci e i meritevoli privi di mezzi”, come è testualmente scritto nell’articolo 29 della Costituzione, che nonostante attenta rilettura non mi sembra menzionare in alcun luogo né cani né porci. Quanto a “pagare”, si tratta di stabilire chi debba farlo: va bene i privati, benvenuti, va bene lo stato, per carità, ma si potrebbe escogitare una soluzione di compromesso incrementando le tasse degli studenti fannulloni, dei fuoricorso che si trascinano senza effettivo impedimento, in modo tale che paghino l’iscrizione a chi, non abbiente, studi con profitto, presto e bene. In questa maniera, visto che dobbiamo intenderci sui termini, si riuscirebbe finalmente a capire senza equivoci cosa sia, a cosa serva, cosa si debba fare in questa benedetta “università”.

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