bandiera bianca
Peccato che quello sulle lezioni di tiro a scuola fosse un equivoco. Sarebbe stata una discussione utile
Se davvero, per far imparare qualcosa agli italiani, bastasse insegnarlo in classe, saremmo diventati una nazione di esperti di trigonometria e di letteratura barocca. Ma qui il punto è che cosa si deve insegnare ai ragazzi: una tecnica o una consapevolezza?
È un peccato che la proposta di Giovanbattista Fazzolari, quella di insegnare a sparare nelle scuole, si sia rivelata frutto di un equivoco, di mezze frasi mal sentite: sarebbe stata una discussione utile. Non dico sulla liceità di inserire un’ora di tiro a segno fra quella di storia e quella di estimo catastale, riguardo a cui si sono messi prontamente a discettare i soliti boccaloni dall’indignazione pavloviana: se davvero, per far imparare qualcosa agli italiani, bastasse insegnarlo a scuola, saremmo diventati una nazione di cecchini allo stesso modo in cui adesso siamo una nazione di esperti di trigonometria e di letteratura barocca.
La discussione utile, invece, è su cosa si debba insegnare a scuola: una tecnica o una consapevolezza?
Se la scuola deve insegnare a fare cose, allora insegnare a sparare dovrebbe essere un programma benvenuto per tutti i progressisti della didattica, i sostenitori dell’apprendimento pratico montessoriani e steineriani, tanto quanto portare gli studenti a piantare un albero, mungere una vacca o progettare una app.
Se invece la scuola è riflessione, se declina il sapere come conoscenza di motivazioni e contesti, imparare a sparare è del tutto superfluo, quasi quanto scegliere se usare la tempera o l’acquerello: l’unica cosa che la scuola dovrebbe insegnare è quando, come, perché si spara. E l’alunno capirà da solo che non è il caso.