Albert Einstein in America negli anni Cinquanta (©Picture-Alliance/Dpa/Lapresse)

bandiera bianca

La scuola italiana, tra genio e leggenda

Antonio Gurrado

Rep dice che c’è troppa ansia, troppa competitività e che si basa su criteri di selezione e valutazione oramai desueti. Ecco riaffacciarsi il vecchio luogo comune dei genii che andavano male a scuola

Repubblica dice che nella scuola italiana c’è troppa ansia, troppa competitività, una concezione tossica del merito, un’idolatria del mito del successo: per questo gli studenti si agitano, si deprimono, si sentono dei falliti, cambiano scuola da un giorno all’altro alla ricerca di un ricetto dove sentirsi al sicuro. Dice anche che la scuola italiana si basa su criteri di selezione e valutazione oramai desueti, che non tengono conto delle effettive capacità di ogni singolo alunno quindi, anziché esaltarle, le comprimono e le inaridiscono.

  

È, ricicciata in nuova impaginazione, il vecchio luogo comune dei genii che andavano male a scuola, cui ha dato dignità scientifica James Hillman qualche anno fa: ne “Il codice dell’anima” elenca fra i somari di successo, tanto per gradire, Thomas Mann, Rabindranath Tagore, Mahatma Gandhi, Richard Feynman, Rainer Fassbinder, Jackson Pollock, John Lennon… Tutti genii, è indiscutibile. Però basta un’intelligenza media per capire che il fatto che alcuni genii siano andati male a scuola non esclude che milioni di persone vadano male a scuola senza essere dei genii.

Di più su questi argomenti: