(foto Ap)

Bandiera Bianca

Una sentenza che fa scuola sulla polemica tra arte e IA

Antonio Gurrado

Quelle prodotte dall'intelligenza artificiale sono opere d'arte che rischiano di emulare o superare quelle degli artisti? Il dilemma risolto (in parte) davanti a un giudice britannico

Il giudice Clarke forse non lo sa, ma la sua sentenza su un noioso caso di diritti d’autore ci dice qualcosa anche sull’intelligenza artificiale. I fatti. Davanti al giudice Clarke sono comparse un’autrice inglese di libri autopubblicati per bambini e una ditta di casalinghi. L’autrice rivendicava che la ditta avesse imbastito una campagna pubblicitaria copiando l’illustrazione del draghetto protagonista delle sue storie. Il giudice Clarke ha però dato ragione alla ditta: non si può ravvisare violazione al diritto d’autore ove non si sia verificato accesso a una fonte primaria di scarsa diffusione, e ove la somiglianza possa essere ascritta a mera coincidenza. Tradotto, il giudice Clarke ha detto all’autrice: i tuoi libri autopubblicati non se li fila nessuno e, se la ditta ha utilizzato lo stesso draghetto disegnato da te, è perché il tuo draghetto non ha niente di nuovo o di artistico, è il cliché di infiniti draghetti che prima o poi chiunque potrebbe disegnare.

 

Applicate ora questo scabro buon senso alla polemica sulle opere d’arte prodotte dall’intelligenza artificiale. Abbracciando il principio del giudice Clarke, gli artisti potrebbero dormire fra due guanciali: se la loro opera ha alcunché di artistico e originale, non c’è verso che l’intelligenza artificiale riesca per coincidenza a produrre qualcosa di comparabile; se invece la loro opera è talmente banale e piatta da poter essere emulata e magari superata dall’intelligenza artificiale, allora tanto vale che si mettano a disegnare draghetti per le ditte di casalinghi.

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