Una delle manifestazioni per non abbattere il glicine (LaPresse)

Bandiera bianca

Il compromesso salva glicine sul Museo della Resistenza di Milano scontenta tutti

Antonio Gurrado

Il contenzioso tra ambientalisti e antifascisti rivela una tendenza universale della sinistra: incapricciarsi di principii elevati ad assoluti che sono destinati prima o poi a cozzare

La crisi di nervi sul contenzioso fra i partigiani e un glicine ha rivelato una tendenza della sinistra che non è solo milanese, ma italiana e universale: incapricciarsi di principii sempre nuovi, anche sensati, elevandoli però ad assoluti quasi macchiettistici, destinati prima o poi a cozzare. È accaduto, ad esempio, con l’annosa querelle fra femministe e transessuali. Ed è successo anche con la storia qui raccontata da Maurizio Crippa: l’apertura di un nuovo bel Museo della Resistenza in piazza Baiamonti, dove però un enorme glicine prospera da tempo immemorabile. Come si fa? L’antifascismo è un valore assoluto che merita di essere celebrato, non può trovare la strada sbarrata da una pianta. Però anche l’ambientalismo è un valore assoluto da cui dipende il nostro futuro, e se iniziamo ad abbattere piante per costruire musei dove andremo a finire?

 

Ne è seguito un dibattito politico-botanico, culminato in dichiarazioni incendiarie e una manifestazione di popolo per abbracciare il glicine e non farlo sentire abbandonato; finché, ieri, qualcuno sano di mente ha escogitato la soluzione di compromesso: potare solo parte del glicine e costruire un museo un po’ più contenuto. Tutti contenti e tutti scontenti, come sempre accade agli assolutisti costretti a confrontarsi col principio di realtà. Alla fine, per salvare la faccia, qualche buontempone ha commentato che antifascismo e ambientalismo sono due valori inestricabili, e questa vicenda dimostra come uno non possa sussistere senza l’altro. Diteglielo, a quel glicine, che se prova a crescere di nuovo è un fascista recidivo.