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Bandiera Bianca

A cani e gatti, sempre più umanizzati, manca solo la comunione

Antonio Gurrado

Nel corso della storia gli uomini hanno imparato a riconoscere come propri simili gli schiavi e gli indigeni del nuovo mondo. Ora qualcosa di simile accade con gli animali domestici

Ci sono state le copertine di Panorama e di Newsweek: la prima recava la foto di un cane e di un gatto sopra la scritta “Nuovi figli”; la seconda mostrava un cane che ansava palpitante sotto la scritta “Il vero amore”. Ostile l’una, benevola l’altra, entrambe davano per assodata, così rimarcandola, l’antropizzazione degli animali domestici, cui riserviamo titoli (figli) e sentimenti (amore) tradizionalmente destinati ai nostri simili. Lo facciamo, è il sottinteso, poiché ormai li riteniamo tali.

Un procedimento del genere si è verificato già due volte nel corso della storia globale: con gli schiavi, originariamente ritenuti macchine semoventi, e con gli indigeni del Nuovo Mondo, originariamente ritenuti animali industriosi benché privi di anima. Col tempo, grazie al cielo, si è arrivati a stabilire che sì, quelle presunte macchine e quei presunti animali erano nostri simili e come tali andavano trattati; un ruolo chiave ha avuto la Chiesa, decidendo dopo lungo dibattito in favore della liceità di evangelizzarli e ammetterli all’eucaristia. Nella circostanza, ha fatto bene.

Adesso però c’è da domandarsi se questa ondata di antropizzazione che investe i nostri piccoli amici (i vostri: io non ne ho) non possa essere foriera di uno sviluppo similare. Va bene la copertina di Panorama, va bene anche quella di Newsweek, ma io inizierò a preoccuparmi quando – che so – Avvenire titolerà: “Comunione ai cani, c’è il sì dei vescovi”.

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