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bandiera bianca

Quanta nostalgia per i rotocalchi sportivi

Antonio Gurrado

Alla vigilia del campionato non ci sono più approfondimenti che raccontano squadre e formazioni ma solo dati ritenuti utili per il fantacalcio (orrore). Come cambia il calcio e il modo di raccontarlo

Permettete un pensiero poetico, una piccola nostalgia autobiografica: alla vigilia del campionato di calcio, mi mancano quei rotocalchi speciali che per decenni ne hanno accompagnato l’inizio. Negli anni Settanta, Ottanta e anche Novanta diverse testate (migliore fra tutte il Radiocorriere TV) producevano un fascicolo occasionale che conteneva, per ciascuna squadra di serie A e di serie B, la foto dell’undici titolare in posa, lo schemino dello schieramento in campo, l’elenco completo dei tesserati, la foto segnaletica dell’allenatore, un ritratto con la divisa ufficiale dei due o tre nuovi acquisti, magari stranieri. Queste guide – che colleziono alacremente e che sono disponibile a far sfogliare a chiunque riesca a passare sul mio cadavere – non si fanno più così poiché da tempo hanno perso la ragion d’essere: la formazione-tipo è esplosa, gli schemi cambiano a metà partita, il calciomercato si conclude ben oltre l’inizio del campionato salvo ricominciare di botto e senza senso, gli allenatori non sono più dei placidi pensionati che sgranano gli occhi davanti al flash, i nuovi acquisti sono caterve come gli stranieri e, se il tifoso vuole scoprire che faccia abbiano, gli è sufficiente seguirli su Instagram per averne a iosa.

Soprattutto, però, queste guide si fondavano sul presupposto – per decenni ritenuto ovvio e oggi tramontato – che conoscere e comprendere un fenomeno, perfino il campionato di calcio, rendesse necessario prima documentarsi e studiarlo. Certo, qualcuno potrà farmi notare che ancora oggi vengono pubblicati inserti che squadra per squadra, giocatore per giocatore, presentano al lettore quei dati ritenuti utili per, orrore, il fantacalcio: ma ciò non fa che acuire la mia nostalgia, sancendo la supremazia del solipsismo sul rito collettivo, la definitiva prevalenza sul reale dell’immaginario.

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