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Quello che manca alla polemica per l'esclusione di Margot Robbie dagli Oscar
La candidatura di “Barbie” a miglior film senza quella a migliore attrice è una candidatura monca, ma monca resta anche l’implicita polemica, priva di un nemico visibile
Siamo d’accordo che l’esclusione di Margot Robbie dalle nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista gridi vendetta – ma vendetta contro chi? Ryan Gosling ha espresso dello scetticismo sulla scelta dell’Academy con una metafora di forte sapore femminista, dicendo che non può esserci Ken senza Barbie, slogan efficace che resterà una pietra miliare dell’empowerment. Se non che lo stratagemma retorico funziona fino a un certo punto: perché la Barbie divinamente femminista di Margot Robbie non è stata sacrificata in favore dei soliti vecchi maschi bianchi, tipo quelli che si mettono al suo inseguimento nel film, bensì di attrici che a loro volta possono fungere da esempio di empowerment: Emma Stone interpreta un mostro vittoriano che rivendica il piacere sessuale femminile, Annette Bening la prima donna ad arrivare a nuoto da Cuba alla Florida, Sandra Hüller una scrittrice di successo, Lily Gladstone è la prima nativa americana ad avere vinto un Golden Globe, e perfino la storia della remissiva moglie di Bernstein, incarnata da Carey Mulligan, sottintende un monito a non spegnere la propria vita appiattendola su quella del marito. Monca resta dunque la candidatura di “Barbie” a miglior film senza quella a migliore attrice, ma monca resta anche l’implicita polemica, priva di un nemico visibile, nell’epoca in cui siamo abituati a dar sempre automaticamente la colpa di tutto alla squadra avversaria.
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