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Grazie al "caso Scurati" finalmente l'Italia dibatte sul compenso degli scrittori
Tutta l'opinione pubblica italiana si confronta su un argomento di importanza capitale, cioè il fatto che uno scrittore venga pagato
Al terzo giorno di titoloni di Repubblica sulla censura di Scurati in Rai, posso dirmi soddisfatto: finalmente tutta l'opinione pubblica italiana si confronta su un argomento di importanza capitale, cioè il fatto che uno scrittore venga pagato. Essendo un popolo abbastanza propenso a mescolare ingenuità, presunzione e ignoranza, siamo anche altrettanto propensi a ritenere che (primo caso, il più grave) siano gli scrittori a dover pagare gli editori per venire pubblicati, oppure che (secondo caso, il più diffuso) scrivere sia un mestiere privo di praticità e quindi non meriti emolumenti, tanto meno generosi, o infine che (terzo caso, il più subdolo) la missione civile dello scrittore sia talmente nobile da non poter essere sporcata con il vil denaro.
Vedere alfine una nazione che dibatte su quanto meriti di essere pagato uno scrittore per leggere un testo in tv (la Rai è un editore, la trasmissione del monologo equivale alla sua pubblicazione) da un lato è rinfrancante, poiché esalta una questione per troppo tempo sepolta; dall'altro è sconfortante, poiché gira e rigira il dibattito verte sempre sui tre casi di cui sopra. Ovvero (primo caso, il più grave) dire che Scurati è in cerca di pubblicità solo perché fa il proprio mestiere e pretende del denaro. Oppure (secondo caso, il più diffuso) protestare perché, per un minuto di monologo, Scurati guadagna l'equivalente di un altrui stipendio mensile, senza pensare che esiste un mercato editoriale le cui leggi valgono tanto quelle che regolano, che so, i prezzi delle case o delle borsette. Infine (terzo caso, il più subdolo), in nome della nobile missione civile di Scurati, leggere pubblicamente a destra e a manca il monologo frutto del suo lavoro. Gratis.
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