Bandiera Bianca
Tra i diritti degli artisti c'è anche quello di sembrare scarsi
Una magnate australiana ha richiesto la rimozione del proprio ritratto dalla National Gallery di Canberra, in ragione del fatto che è poco lusinghiero. Ma di individui che non riconoscono la riproduzione di sé è pieno il mondo
Gina Rinehart, una magnate australiana, ha richiesto la rimozione del proprio ritratto dalla National Gallery di Canberra, in ragione del fatto che – bisogna onestamente ammettere – è poco lusinghiero. La donna viene infatti ritratta come attraverso uno specchio deformante tenuto in mano da un omino di gelatina con la tremarella, a voler essere benevoli; ma potrebbe trattarsi non già di intento derisorio quanto delle effettive capacità tecniche dell’artista, l’aborigeno Vincent Namatjira. Di individui che non riconoscono la riproduzione di sé è pieno il mondo, da chi si spaventa udendo la propria voce registrata a Romelu Lukaku che, anni fa, diffidò una ditta di videogiochi calcistici poiché le caratteristiche del suo avatar lo rendevano troppo lento nel contropiede.
Non poté invece protestare, per ovvi motivi, Gesù quando una volenterosa restauratrice spagnola diede fattezze scimmiesche al suo sembiante in un Ecce Homo affrescato nel Santuario della Misericordia a Borja. Ora, se nel caso di Lukaku si trattava di sindacare su algoritmi, e nel caso del Gesù mal restaurato di riconoscere le limitate abilità della restauratrice, nel caso della magnate australiana il problema pare sia la differente percezione della bellezza da parte degli aborigeni, e la sua relativa espressione, ciò che ci lascia con l’impressione che l’artista sappia disegnare peggio del nostro nipotino di otto anni. Per questo il ritratto è rimasto dov’è. Con buona pace del soggetto ritratto, dunque, la sua protesta viene reputata inaccettabile, paternalistica, razzista; a quanto pare il fatto di sembrare scarso rientra fra i diritti non negoziabili di un artista, insieme a quello di farci sembrare brutti.