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Bandiera Bianca

Il vero danno che può fare l'intelligenza artificiale è privarci della solitudine

Antonio Gurrado

Tony Prescott, uno studioso di robotica cognitiva, ha spiegato che l'IA potrebbe consentirci di superare definitivamente il senso di isolamento. Ma siamo sicuri sia una cosa buona?

Finalmente abbiamo capito la vera minaccia addotta dall’intelligenza artificiale. Che probabilmente non ci muoverà guerra facendo rivoltare contro di noi l’auto elettrica e il tostapane, né verosimilmente ci schiavizzerà costringendoci a mantenerci col leggere suoi infiniti messaggi promozionali automatici. No, il vero danno che può fare l’AI è privarci della solitudine.

Uno studioso di robotica cognitiva all’università di Sheffield, Tony Prescott, ha spiegato che le persone potranno trarre dall’AI una forma di interazione permanente, stimolante e personalizzata, in grado di risolvere una volta per tutte il senso di isolamento che pare sia il male del nostro tempo. Secondo Prescott non bisogna avere pregiudizi al riguardo, così come è ormai largamente accettato che chi è solo, se adulto, riversi affetto su un animale domestico, se bambino, giochi con i soldatini o le bambole. Prescott dev’essere un uomo molto socievole, se dimentica che la solitudine non è tanto l’isolamento in sé quanto il senso della mancanza di migliore compagnia: il bambino lascia perdere i giocattoli, quando corre fuori con gli amici, e io posso valutare di prendermi un cagnolino, ma non disdegnerei duecentocinquanta ragazze. Dire che l’AI risolverà il problema della solitudine è come condannare qualcuno a parlare soltanto con i cani o a giocare per sempre con le bambole.

Allo stesso modo, in una persona che rimanga ingabbiata con l’AI potrebbe acuirsi la nostalgia di altre interazioni – più tridimensionali, carnali o umane – cui magari, da sola, non stava pensando. Invece, grazie all’intelligenza artificiale, non saremo mai più soli: è una minaccia.

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