Bandiera Bianca

Il rugby femminile e l'intimo che colma il salary gap

Antonio Gurrado

La pubblicità inglese che ha coinvolto delle rugbiste in lingerie ha suscitato pubblica indignazione. E si è tornati a parlare di differenze retributive tra uomini e donne. E allora Beckham?

Per quanto poco, ebbene sì, segua il rugby femminile, non mi è sfuggita la pubblicità di una ditta di lingerie che vede protagoniste alcune atlete della nazionale inglese. E non perché io sia talmente annoiato da dover speziare la mia vita con le evoluzioni postmoderne del catalogo Postalmarket, quanto meno non solo; ma perché, oltremanica, la trovata è stata travolta da un’ondata di indignazione arrivata perfino a lambirmi gli alluci.

  

 

In sostanza viene recriminato che le atlete, rugbiste o meno, vengano pagate meno dei colleghi maschi; se guadagnassero uguale, è l’argomentazione, non sarebbero costrette a mostrare tette e culi in biancheria sexy. Inoppugnabile ragionamento, cui non posso che aggiungere un dato ulteriore: sono abbastanza vecchio da ricordare i tempi in cui anche i calciatori maschi erano ridotti all’indigenza, e volenti o nolenti si vedevano costretti a campeggiare sui cartelloni pubblicitari come modelli in mutande, pur di sbarcare il lunario. Per esempio, David Beckham.

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