Bandiera Bianca

Gli spettatori solitari: la cosa più bella (e umana) del Tour de France

Antonio Gurrado

Uomini soli che applaudono a ciclisti, spesso, altrettanto soli e sperduti nelle campagne francesi, magari a qualche centinaio di chilometri dalla fine della gara. È l'affascinante mistero che più di tutto il resto mi colpisce del Tour de France

Del Tour appena concluso, più ancora delle mirabilia mostrate da Pogacar o delle lacrime di Vingegaard ed Evenepoel, come ogni anno mi ha colpito la reiterazione di un mistero: quello per cui, nelle infinite ore di diretta televisiva, prima o poi c’è sempre un’inquadratura che mostra uno spettatore solitario, magari sperduto nella campagna francese a un centinaio di chilometri dall’arrivo, che a bordo strada applaude un qualche ciclista solitario, di quelli che galleggiano né alla testa della corsa né nel gruppo maglia gialla, magari un quidam proveniente da terre esotiche che sta lì a sudare e a sacramentare fra sé e sé, chiedendosi chi gliel’abbia fatto fare.
 

E c’è in quell’applauso una sincerità che va oltre il riflesso condizionato di tifare per timore di non aver riconosciuto chissà chi, oltre la prassi di far cagnara come segno di vita quando passa la corsa, oltre l’occasionale esibizionismo dello sperarsi inquadrati in posa da sportsman e intenditore. È il riconoscimento dell’appartenenza alla stessa specie, che lega l’uomo solo all’uomo solo, e lega l’uno all’altro l’uomo in quanto uomo.
 

Quel sentimento che, in un attimo di fugace passaggio sui pedali, sottintende: non so chi sei, non posso spingerti, non penso che vincerai nulla né oggi né mai; però, quando passi, batto le mani perché vorrei che, ogni tanto, qualcuno le battesse anche per me.

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