Da destra: Scott Brash, Harry Charles e Ben Maher, campioni olimpici con la Gran Bretagna nell'equitazione (LaPresse)

bandiera bianca

Ripassare Mandeville. Senza egoismo, la società va in rovina

Antonio Gurrado

Secondo il Times è sbagliato che re Carlo III nomini cavalieri i britannici medaglia d’oro alle Olimpiadi poiché il cavalierato è destinato a chi opera per il bene altrui, mentre gli atleti agiscono mossi da un desiderio tutto personale ed egoistico. Eppure è proprio questo che ingenera equilibrio sociale e vantaggi per la collettività

Mi ha fatto venire i vapori leggere sul Times (sul Times!) un articolo di Matthew Syed, secondo il quale è sbagliato che re Carlo III nomini cavalieri i britannici medaglia d’oro alle Olimpiadi, poiché il cavalierato è destinato a chi opera per il bene altrui, mentre gli atleti agiscono mossi dal desiderio egoistico di guadagno, di fama o, se non altro, di miglioramento di sé. È sconcertante: davo infatti per assodato ciò che Mandeville – il quale, nonostante il cognome francofono, era un olandese naturalizzato britannico – scriveva nella Favola delle api (1704), col sottotitolo “vizi privati e pubblici benefici”.

L’idea è che il desiderio egoistico di arricchimento o di gloria ingenera un equilibrio sociale tale per cui ne trae vantaggio la collettività. Se volete una controprova, immaginate che agli atleti fosse stato proibito di partecipare alle Olimpiadi, così da esercitare una sana modestia e magari dedicarsi a pie opere virtuose; ebbene, non vi sareste emozionati, non avreste gioito, avreste passato l’estate ad annoiarvi, non avreste ammirato i campioni di nazioni lontane, non vi sarebbe venuta voglia di fare sport né di alzare in alcun modo il deretano per cambiare in meglio la vostra vita. Senza egoismo, la società va in rovina: forse l’abbiamo dimenticato perché, dai tempi di Mandeville, sono passati trecento anni. O forse è proprio che non l’abbiamo capito, e trecento anni sono passati invano.

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