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Bandiera bianca

L'università di Yale a caccia di razzismo fra gli antirazzisti

Antonio Gurrado

Eliminare a tavolino ogni residuo di male è un'utopia destinata a fallire. Se riuscissimo a mettere in pratica i nostri propositi di bene avremmo reso il mondo migliore già da millenni

The Week riporta che l’università di Yale ha organizzato una rassegna di iniziative antirazziste per individuare i residui di razzismo nelle rassegne di iniziative antirazziste. Sarebbe fin troppo facile ricorrere all’umorismo della mise en abyme, immaginando a Yale l’anno venturo delle rassegne di iniziative antirazziste organizzate per individuare i residui di razzismo nelle rassegne di iniziative antirazziste organizzate per individuare i residui di razzismo nelle rassegne di iniziative antirazziste, e così via. In realtà è fin troppo facile prendere in giro Yale, che già in un vecchio episodio dei Simpson veniva raffigurata come un covo di robot antropomorfi la cui testa esplodeva di fronte alla microaggressione costituita da Homer con parrucca e gonnellino.

La faccenda, più seria, ha tuttavia a che vedere con l’impasse in cui si ficca non solo Yale ma qualsiasi istituzione pretenda eliminare scientificamente, a tavolino, un orrore quale indubbiamente è il razzismo. Sradicare il male a forza di convegni e linee guida presuppone che – come in Socrate o in Sant’Agostino – la conoscenza e il bene coincidano, e che sapere come agire correttamente sia sufficiente affinché tutti agiscano correttamente. Sì, lallero; fosse così, avremmo risolto i problemi dell’umanità già da un paio di millenni. Siamo invece condannati a portare dentro le nostre migliori intenzioni un residuo inestirpabile di male; chi si convince di risolvere la situazione con una rassegna di iniziative su una rassegna di iniziative su una rassegna di iniziative su una rassegna di iniziative è destinato a suonare come un disco rotto.

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