Foto ANSA

Bandiera bianca

Temiamo le statue e le scelte definitive. Il caso del quarto plintio di Trafalgar Square

Antonio Gurrado

Nella sua continua rotazione di opere, sul piedistallo rimasto sgombro a Londra c'è ora un blocco di gesso con impressi i volti di oltre settecento persone in transizione di genere: una perenne trasformazione che va dai materiali ai soggetti rappresentati, per sfuggire a qualsivoglia decisione da cui è impossibile tornare indietro

Come forse i più attenti di voi avranno notato, questa rubrica è ossessionata dal quarto plinto, il piedestallo rimasto sgombro a Trafalgar Square su cui è prassi alternare opere d’arte contemporanea, in attesa che si decida per un’installazione definitiva – e sì, se dipendesse da me progetterei io stesso un ingegnoso sistema di carrucole per issarci la statua di Elisabetta II. Orbene, adesso sul quarto plinto è il turno di una nuova scultura, un parallelepipedo in gesso su cui Teresa Margolles ha impresso i volti di oltre settecento persone in transizione di genere.

 

                             

 

Scelta degnissima, con un dettaglio che tuttavia spiazza: il materiale della scultura è tale che verrà inevitabilmente modificato dalle intemperie londinesi. Se da un lato l’artista ha insistito sull’importanza simbolica della partecipazione della natura stessa al processo trasformativo, temo però ci sia anche un’altra verità sottesa: avere un plinto sgombro, occuparlo con opere d’arte a rotazione, quindi optare per una scultura dall’essenza materiale mutevole indica che, probabilmente, abbiamo un problema con le scelte definitive. Significa che l’effigie di Elisabetta II non salirà mai sul quarto plinto, non perché non lo meriti, bensì perché temiamo che un domani qualcuno voglia tirarla giù. Significa che oramai abbiamo paura delle statue.

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